CON L’ARRIVO DELLA FEDELE RICOSTRUZIONE DELLA SEZIONE TRASVERSALE DELLA IULIA FELIX AL VIA L’ALLESTIMENTO DELLA MOSTRA NEL MARE DELL’INTIMITÀ.
Un carico di conserve e di vetro, che era stato destinato al riciclo già due millenni fa, prima di inabissarsi al largo della laguna di Grado. È il tesoro della Iulia Felix, nave da carico romana del II secolo d.C., ritrovata a 16 metri di profondità nel 1987, assieme a circa 600 anfore. Il vascello, lungo 18 e largo 6 metri, ha un valore inestimabile sia per l’architettura navale che per l’archeologia. Una riproduzione storicamente fedele della sezione trasversale del bastimento è arrivata questa oggi a Trieste, grazie alla mostra Nel mare dell’intimità. L’archeologia subacquea racconta l’Adriatico, dove sarà esposta insieme a una parte del suo carico originale. La ricostruzione è realizzata dall’ERPAC – Servizio catalogazione, formazione e ricerca, così come l’analisi, lo studio e la catalogazione dei materiali organici e inorganici del carico, nell’ambito di un accordo con il Polo Museale del Friuli Venezia Giulia e il Comune di Grado per l’apertura e la valorizzazione dell’istituendo Museo nazionale dell’archeologia subacquea della città. La riproduzione, a cura di Rita Auriemma, Dario Gaddi, Carlo Beltrame, è stata progettata dal maestro d’ascia chioggiotto Gilberto Penzo ed eseguita nel cantiere nautico Casaril di Venezia.
IL CARICO E IL RICICLO
La nave di Grado costituisce un caso emblematico di commercio di redistribuzione e riutilizzo, per l’eccezionale carico di salse e conserve di pesce di produzione locale, presumibilmente aquileiese, contenuto entro più di 600 anfore in gran parte riutilizzate, provenienti da varie regioni del Mediterraneo: Egeo orientale, Tripolitania, Tunisia, Campania, Emilia Romagna, alto Adriatico. Il riutilizzo delle anfore è evidente per due fattori: l’omogeneità della merce in tutte le anfore – pesce, anche se di qualità diverse (sardine e sgombri) e diversamente preparato (salsa “fior di garum” e pesce sotto sale) e la presenza di tappi tutti “ritagliati” da pareti di anfore degli stessi tipi di quelle componenti il carico. Le anfore, giunte per varie vie e da posti diversi in un emporio, erano state svuotate del contenuto originario (vino egeo, olio tripolitano e tunisino, vino adriatico, ecc.) e immagazzinate per essere reimpiegate dal produttore della merce. Solo le anfore più piccole, che occupavano gli spazi di risulta della stiva, erano prodotte in loco, nelle officine dell’Istria, e contenevano la salsa, il garum, com’è indicato nelle iscrizioni dipinte – vere e proprie etichette – sul collo dei contenitori.
A bordo del relitto è stata trovata una botte piena di vetro in frantumi, evidentemente destinato alla rifusione. La pratica era economicamente vantaggiosa: il vetro riciclato ha una minore temperatura di fusione e consuma quindi meno combustibile. Infine, lo studio meticoloso dello scafo ha permesso di ipotizzare che prima di essere una nave oneraria, mercantile, per il trasporto di pesce lavorato, quest’imbarcazione fosse stata una navis vivaria, adibita cioè alla pesca e al trasporto di pesce vivo, e quindi provvista di un serbatoio. Il relitto è quindi davvero un paradigma del riutilizzo: delle anfore, del vetro, della botte, e addirittura della nave!
L’ARMAMENTO
Bitte, borelli, caviglie da impiombatura, bozzelli, carrucole e pulegge. Nomi che subito evocano la navigazione e che costituiscono, assieme alle cime, la parte dell’armamento velico rinvenuto all’esterno e sotto lo scafo della Iulia Felix. Servivano a manovrare la nave, in tutto e per tutto analoghi agli strumenti delle barche contemporanee di fattura tradizionale. Le cime, tutte a tre trefoli, erano di diversi diametri, a seconda della funzione: lo testimoniano gli spezzoni di numerosi metri di lunghezza rinvenuti a bordo della nave. Sono stati recuperati anche tre borrelli di varie misure, che allora come oggi servivano a giuntare le cime. Anche le bitte sono tre – due fisse e una mobile – di cui una è di particolare pregio in quanto raffigura l’effige intagliata di un busto femminile. Carrucole e pulegge servivano con ogni probabilità a manovrare il pennone della vela quadra dell’albero di maestra. Fondamentale lo scandaglio in piombo, il cui fondo cavo serviva a trattenere i sedimenti per capire profondità e natura del fondale marino.
LA RICOSTRUZIONE
L’Adriatico e l’arte nautica scorrono non solo nel relitto della Julia Felix ma anche nelle vene dell’autore della sua ricostruzione. Gilberto Penzo, maestro d’asce, è nato nel 1954 a Chioggia, dove suo padre installava e riparava motori di barche da pesca. Sempre qui, sulla punta meridionale della laguna di Venezia già teatro delle Baruffe chiozzotte di Carlo Goldoni, si affacciava anche il cantiere navale della famiglia materna di Penzo, dove si edificavano sandoli, batei a pisso, bragossi e trabaccoli, oltre che imbarcazioni di tipo moderno. Ha detto il maestro d’asce a proposito della copia della Iulia Felix: «Abbiamo operato una ricostruzione quasi perfetta della sezione trasversale. L’attenzione all’esattezza storica è curata sin nei minimi dettagli, alcuni dei quali sono addirittura invisibili all’occhio esterno».
LA MOSTRA
La Iulia Felix sta per riprendere la sua rotta ideale attraverso lo spazio e il tempo. Oggi, arrivata a Trieste. ha dato così il via all’allestimento della mostra Nel mare dell’intimità. L’archeologia subacquea racconta l’Adriatico. Quest’ultima sarà aperta al pubblico il 17 dicembre all’ex Pescheria – Salone degli Incanti e metterà per la prima volta assieme reperti provenienti non solo dall’area dell’Alpe Adria, che interessa le antiche Aquileia e Tergeste, ma anche dall’intero bacino adriatico. Musei archeologici di Italia, Croazia, Slovenia e Montenegro contribuiranno facendo pervenire a Trieste più di un migliaio dei loro tesori.
La Julia Felix conduce non solo a ritroso nel tempo, ma rivolge uno sguardo al futuro: l’originale diventerà il fulcro del Museo nazionale di archeologia subacquea di Grado: “La splendida occasione di condivisione, ancor più e prima che di collaborazione, con l’ERPAC e con il Comune di Grado – afferma il direttore del Polo museale del Friuli Venezia Giulia Luca Caburlotto – consente di dare nuovo interesse, nuovo valore scientifico e nuovo impulso operativo al costituendo museo, per il quale sono giunti finanziamenti ministeriali aggiuntivi”.
La mostra, curata da Rita Auriemma, è organizzata dal Servizio catalogazione, formazione e ricerca dell’ERPAC – Ente regionale Patrimonio Culturale FVG e Comune di Trieste-Assessorato alla Cultura in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia, il Polo Museale Regionale del Friuli Venezia Giulia, la Federazione Archeologi Subacquei, il Croatian Conservation Institute, l’ICUA-International Centre for Underwater Archaeology e altri partner italiani e stranieri.